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L’ex ministro dei governi Draghi e Letta a SostenibileOggi.it: “Serve subito la struttura di governance”

Un primo passo sulla strada dell’adattamento e della prevenzione degli eventi climatici. Dopo svariati anni, è stato approvato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (noto come PNACC): Enrico Giovannini, già ministro nei governi Letta e Draghi (alle Infrastrutture), co-fondatore e direttore scientifico dell’ASviS (Alleanza per lo sviluppo sostenibile, una rete di 300 soggetti della società civile), spiega a SostenibileOggi.it i passaggi chiave, tra luci e ombre, del Piano.

Professore, è davvero così importante l’approvazione del Piano?

Ritengo molto positivo che l’Italia si sia dotata del Pnacc dopo tanti anni in cui questo Piano avrebbe dovuto essere predisposto. Peraltro, la sua approvazione, avvenuta il 2 gennaio, era stata preceduta dalla fase di consultazione pubblica a opera del governo in carica, avviata a inizio 2023, sulla bozza elaborata dal governo Draghi in cui io ero il ministro per le Infrastrutture e la Mobilità Sostenibili, la quale ha ricevuto molti commenti dalla società civile, compresa l’ASvIS. Ma l’approvazione del Piano è solo l’inizio di un processo, si deve pensare ora ai passi successivi.

Qual è il primo passo da fare?

Il governo deve rapidamente mettere in piedi la struttura di governance (l’Osservatorio) prevista dal PNACC e poi iniziare ad attuarlo. Nel testo sono indicate una serie di azioni, ma non il modo in cui verranno eseguite. Ci sono azioni a livello nazionale, regionale, locale, il che vuol dire che non è banale realizzarlo. Vanno messe assieme tutte le istituzioni che devono prendere delle decisioni in materia e fare in modo che queste ultime non vadano contro il Piano stesso. Inoltre, è un Piano “a scorrimento”, che richiede aggiornamenti continui: la crisi climatica accelera e nel testo ci sono molte indicazioni definite due anni fa, non più attuali oggi. Quindi l’Osservatorio deve anche spingere il governo e gli enti locali ad attuare, ma anche ad aggiornare, il PNACC.

Poi c’è il tema risorse.

Non ci sono risorse direttamente connesse al piano, ma questo non significa che nel Pnrr e in altri Fondi, come quelli europei e nazionali per la Coesione, non ci siano risorse per interventi in materia. Purtroppo, finora non è stata fatta la mappatura degli investimenti già decisi e delle azioni inserite nel Piano. Ecco perché è urgente confrontare queste informazioni, così da capire cosa manca e quanto manca per realizzare il Piano. E bisogna procedere rapidamente, anche perché il governo, nell’ambito della centralizzazione del PNRR e delle politiche di Coesione sotto il ministero guidato da Raffaele Fitto, sta stabilendo accordi con singole regioni per l’uso dei fondi, una parte dei quali andrebbero proprio destinati alle azioni previste dal Piano.  

C’è anche il capitolo dei contratti di programma.

Certo, i contratti di programma con Anas, RFI, concessionari autostradali e aeroportuali sono molto importanti. Come evidenziato nel Rapporto redatto quando ero ministro, le infrastrutture esistenti sono a rischio per la crisi climatica. Per esempio: una pista aeroportuale vicino al mare deve essere piazzata ad almeno sei metri sul livello del mare; molte linee ferroviarie sono a rischio in caso di eventi estremi che provochino l’esondazione dei fiumi o frane. Per fortuna, il nuovo Codice degli Appalti recepisce il lavoro svolto sotto la mia guida dal Ministero, imponendo che le nuove infrastrutture siano realizzate sulla base di progetti che tengono conto dei cambiamenti climatici. Ma parallelamente bisogna investire per mettere in sicurezza quelle esistenti: il citato Rapporto indicava la necessità di investire almeno un miliardo e mezzo di euro all’anno nei prossimi vent’anni solo per questa finalità. 

Nel Piano intravede misure soft e poco strutturali?

Alcune misure sono abbastanza generiche, altre più puntuali, è un Piano che ora va calato nel concreto. Se si dice mettere in sicurezza le dighe poi bisogna decidere quali dighe devono essere interessate per prime dai lavori. Come già detto, nella fase di attuazione del Piano c’è lo spazio anche per aggiornarlo e renderlo più preciso. Qualunque Piano può essere criticato, come ha fatto anche l’ASviS, ma ora abbiamo un documento su cui il governo e le altre istituzioni devono lavorare in concreto. E prima lo faranno, meglio sarà per il Paese, soprattutto per i cittadini e le imprese, senza dimenticare che entro giugno 2024 l’Italia deve dotarsi dell’altro pilastro su cui si basano le politiche climatiche, specialmente quelle di mitigazione, cioè il Piano Nazionale Integrato Energia-Clima (PNIEC), la cui bozza è stata fortemente criticata dagli esperti (anche dall’ASviS) e dalla stessa Commissione europea.   

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