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Da ieri è finita la fase del regime di favore. Si potrà usufruirne solo con accordi privati tra aziende e lavoratori

Il mondo del lavoro è stato profondamente cambiato dalla pandemia, facendo spazio a fenomeni come lo smart working e la riduzione dell’orario di lavoro. Da ieri però è come se si fosse tornati indietro, anche se, nelle cose, non si può: lo smart working, che è stato introdotto come conseguenza della pandemia da Covid-19, esce definitivamente dal regime di favore. Ora è tutto nelle disponibilità delle aziende, tra le prospettive di una regolamentazione più flessibile e le stesse imprese che non intendono contemplare l’impiego della misura. Dunque si potrà verificare solo in base ad accordi ad hoc tra le parti nel settore privato. Ma spesso, si sa, non c’è equilibrio di forze. Sperando che ora si siedano al tavolo i sindacati e le aziende per trovare una quadra, contemplando le esigenze dei bilanci, del lavoro e quelle individuali, emerse con forza a seguito proprio della pandemia.

Lo studio del Polimi

Eppure il trend del lavoro da remoto è sempre più marcato anche in Italia. Secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, i lavoratori in smart working sarebbero stati oltre 3,5 milioni nel 2023, in aumento nelle PMI e nelle grandi aziende, invece in calo nelle microimprese e nella Pubblica Amministrazione. La stima sul 2024 va oltre i 3,6 milioni di lavoratori, una cifra che stride con l’eliminazione del regime di favore dall’1 aprile. Eppure gli esempi positivi ci sono. Intesa San Paolo, per esempio, ha fissato un tetto da 140 giorni di smart working annui per i propri dipendenti, mentre nella PA la situazione è assai complessa perché i dirigenti non sono vincolati ad assecondare le richieste dei dipendenti di un tot di giorni di lavoro da remoto.

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