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L’ex ministro e presidente di Human Foundation: “Il tema è arrivare finalmente a produrre degli standard di rendicontazione, finanziaria e non, che siano integrati”

Un capitalismo 3D per un nuovo modello di economia, a sostegno dell’impresa e della finanza ad impatto. L’ex ministro e presidente di Human Foundation, Giovanna Melandri, racconta a Sostenibileoggi.it del recente decennale dell’associazione e della definizione di un capitalismo “diverso”, tra profitti e obiettivi ambientali e sociali . A Roma a fine febbraio c’è stato l’evento “IMPACT NOW. Un altro capitalismo è possibile”, con sette proposte per “un futuro a impatto”.

Presidente Melandri, uno dei sette punti è la condivisione dei dati tra PA, enti del terzo settore e welfare aziendale per sviluppare soluzioni che rispondano ai bisogni di persone e territori, rafforzando la prevenzione e riducendo la spesa pubblica.

L’infrastruttura intangibile per passare dall’economia convenzionale all’economia di impatto è la valutazione d’impatto. Un modello di valutazione degli impatti sociali, ambientali, di genere: questo è il perno della rivoluzione impact. Il tema è arrivare finalmente a produrre degli standard di rendicontazione, finanziaria e non, che siano integrati. Si deve arrivare a un valore numerico e monetario della misurazione d’impatto che può incidere sulle scelte degli imprenditori e quindi servono i dati. Se misuri gestisci e se gestisci puoi cambiare. Ma serve ricostruire una certezza dei dati sulla base della quale misurare, gestire e cambiare. Dati sui bisogni di un territorio, di una comunità, fondamentali anche per le imprese e gli investitori della rivoluzione impact..Mi ha rincuorato ascoltare l’opinione di molti durante il nostro evento sulla convergenza strategica per accelerare questo processo tra data provider e investitori impact; questo è un terreno in cui l’IA può essere un acceleratore di cambiamento, sempre che vi siano amministrazioni e regolatori capaci di orientare le scelte nella giusta direzione.

Un’altra proposta punta alla distinzione tra i comitati rischi e sostenibilità nella governance delle Società per Azioni, al fine di orientare le decisioni verso la generazione di impatto positivo.

Nelle società quotate, in alcuni Paesi tra cui l’ Italia, al comitato Rischi si sono spesso affidate anche le deleghe in materia di sostenibilità, implicitamente interpretando e riducendo la dimensione della sostenibilità (sia ambientale che sociale) esclusivamente a fattori di rischio/opportunità per le imprese; il che è ovviamente un punto di vista legittimo ed utile, ma non è il solo. È importante, in una logica di doppia materialità, anche valutare l’impatto dell’impresa su ambiente e società. Per osservare entrambi i punti di vista riteniamo sia utile distinguere, nell’ambito della governance delle società quotate e non quotate, l’aspetto del rischio e della sostenibilità.

A proposito dell’Italia: lei ha parlato del primo fondo per la finanza d’impatto, sollecitando il governo Meloni. Perché sarebbe così importante?

L’Italia è il fanalino di coda in Europa per la sperimentazione dei cosiddetti modelli pay-by-result, strumenti o contratti ad impatto sociale che prevedono la triangolazione tra PA, privato e privato sociale per la risoluzione di bisogni e problemi di natura sociale. Modelli che presuppongono un ruolo centrale della PA che fissa obiettivi su cui poi coinvolgere privati che investono su quel programma sociale (riduzione drop out scolastico, integrazione socio lavorativa, sevizi per l’infanzia, assistenza domiciliare)  e che si fanno in parte carico del rischio dell’investimento. La Pa restituisce il capitale (e può anche riconoscere un rendimento) solo ad obiettivo raggiunto. Se ciò non avvenisse il rischio è in tutto o in parte sulle spalle dell’investitore. Il pubblico dunque stabilisce l’obiettivo e accantona le risorse che erogherà solo a obiettivo raggiunto incrementando così efficienza ed efficacia della PA e riducendo gli sprechi nell’interesse dei cittadini. Per non parlare dei vantaggi dagli erogatori di servizi (tipicamente imprese e cooperative sociali ed enti del terzo settore o del privato sociale) che avrebbero finalmente il vantaggio della certezza delle risorse necessarie avendo stabilità e continuità nei finanziamenti (senza l’incongnita di percorsi spesso farraginosi e incerti  per gli enti del terzo settore).

Se l’obiettivo è raggiunto, si restituisce al privato il capitale, si centra l’obiettivo sociale, gli enti del terzo settore hanno avuto certezza dell’investimento e la PA aumenta efficienza ed efficacia. Questo modello in Italia non decolla un po’ per pigrizia nell’innovazione e per assenza di volontà politica, ma anche perché quando la PA accantona risorse (per poi restituire il capitale all’investitore) questo accantonamento va a debito nella contabilità generale dello Stato. Bisogna risolvere questo problema tecnico per accrescere efficienza e ridurre gli sprechi. Per questo chiediamo al governo di creare un fondo ad hoc  (separato dalla contabilità generale dello Stato) magari finalizzato ad una sperimentazione diffusa di questi strumenti sulla scala degli enti locali per sperimentare modelli pay-by-result.

Che pensa dell’approvazione in versione light della CSDD?

Se ne è discusso tanto, non credo sia una tragedia che il testo sia stato prima respinto e poi approvato in un formato leggero. C’è già un armamentario giuridico piuttosto solido che deve essere messo a terra; tra tassonomia, SFRD, CSRD (che collega mercato dei capitali a sostenibilità delle imprese). Sulle supply chains si deve arrivare con gradualità se non vogliamo ingolfare il processo e invece concedere il  tempo necessario alle imprese per misurare la loro catena del valore. Piuttosto sono preoccupata dei ritardi con cui si sta definendo la tassonomia sociale nell’Ue. Direi dunque che sia più urgente completare la CSRD e SFRD con la tassonomia sociale. L’Europa ha assunto la leadership nella transizione e bene ha fatto. Ma ora bisogno andare per gradi, se no si fa il gioco di chi vuole lo status quo e la conservazione. L’Europa ha scelto la “Leadership by example” con un’armatura giuridica importante. Ora però sono necessari investimenti comuni, non basta il bastone, serve anche la carota.

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