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Oltre il 70% di sostanze come rame, cobalto, litio, manganese a rischio per il climate change entro il 2050

C’è un intreccio tra le materie prime minerarie che servono per la transizione energetica e il climate change, con casi sempre più frequenti di siccità. Oltre il 70% di sostanze come rame, cobalto, litio, manganese, indispensabili per esempio per la costruzione degli impianti fotovoltaici, potrebbero essere a rischio a causa del peggioramento del cambiamento climatico. Lo scenario potrebbe verificarsi entro il 2050. Il dato è fornito da uno studio di PwC, che inoltre “consiglia” ai capi d’azienda di dare un’accelerazione sui piani per ottenere quel tipo di sostanze, in modo da non mandare in stallo la produzione globale e non sottoporsi all’incognita della siccità. Dallo studio, peraltro, è emerso che anche le colture alimentari corrono rischi seri: se il livello delle emissioni non dovesse registrare una contrazione, il 90% della produzione mondiale di riso potrebbe essere vittima dello stress termico, così come la produzione (per oltre il 30% e il 50%) di mais e grano.

Il rischio dei metalli

Lo scenario è preoccupante per i metalli vitali, rileva lo studio di PwC: oltre il 60% della produzione mondiale di bauxite e ferro potrebbe andare incontro al rischio di stress termico entro il 2050 e potrebbe avvenire anche (entro il 2050) in un contesto a basse emissioni, mentre se il livello delle stesse emozioni, addirittura il 40% dello zinco sarebbe in bilico a causa della siccità.  L’analisi di PwC collima perfettamente con l’allarme lanciato tempo fa da McKinsey: nel 2020 il 30-50% della produzione complessiva di rame, oro, ferro e zinco era situata in zone ad alto stress idrico, con ben sette zone in difficoltà: Asia centrale, Australia (orientale e occidentale), Medio Oriente, Africa meridionale, Nordamerica, America occidentale e la costa del Cile.

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