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Il Paese sudamericano produrrà oltre sette milioni di greggio al giorno entro il 2030

Un impegno costante contro il processo di deforestazione e – parallelamente – il boom nelle estrazioni petrolifere, soprattutto offshore, con l’ingresso in qualità di osservatore nell’Opec+. Il Brasile è segnalato come potenza crescente nella produzione di greggio: da regina del Sudamerica a quinta potenza mondiale, secondo il recente studio prodotto da Rystad Energy, società che opera nelle ricerche di mercato nel settore petrolifero. Oltre sette milioni di greggio prodotti al giorno entro il 2030, una crescita annua del 56%, con livelli tripli di estrazione rispetto al 2010. Ma come si lega tutto questo con la promessa di Lula di investire il trend sulla deforestazione, per esempio in Amazzonia, dopo gli anni di disboscamenti a catena consentiti da Bolsonaro?

I pozzi in mare

Secondo quanto rivelato da Rystad Energy è atteso nel Paese sudamericano il balzo delle operazioni in mare, piuttosto che quelle su terraferma e questo elemento non contrasta con la “tradizione estrattrice” del Brasile, che è considerato tra i maggiori produttori di idrocarburi al mondo in acque profonde e ultra profonde. Meglio addirittura degli Stati Uniti e andrà sempre meglio con 600 nuovi pozzi entro la fine decennio, un investimento che scollina oltre i cinque miliardi di dollari. E sempre secondo lo studio, riportato anche dal New York Times, sarà la società statale Petrobras a incrementare a tal punto la produzione di petrolio da portare il Brasile al terzo posto mondiale tra i player di greggio. Petrobras pompa già circa la stessa quantità di petrolio di un colosso mondiale come ExxonMobil ed entro il 2030 sarà inferiore solo alle superpotenze Arabia Saudita e Iran

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